Bambini colpevoli di essere innocenti
Roma, camper a fuoco. Uccise tre sorelle: due bimbe e una 20enne.
Un rogo, fiamme alte, nel silenzio di chi è costretto all’angolo, d’improvviso le grida, la via di fuga, chi vive potrà ancora piangere, chi invece muore rimane dannato e oppresso dai chiodi delle parole, dei giudizi, delle condanne scagliate a priori.
Tre corpicini annientati, disintegrati, polverizzati più della cenere, bambini neppure incerottati, bambini trucidati. Qualcuno dice che sono soltanto chiacchiere quando si afferma senza se e senza ma, che donne, vecchi, e bambini non si toccano mai, perché a suo dire si tratta della dicitura di qualche sottocultura non meglio identificata. Come qualcuno ben più lungimirante di me, ha ben scandito alla nazione: un omicidio è sempre un omicidio, ma quando di mezzo ci sono bimbi innocenti, allora si tratta di qualcosa ben al di sotto di qualsiasi comprensione umana. Le azioni di morte come queste che dovrebbero incendiare le coscienze pressoché dormienti, stanno supine a un mercato sottobanco che vende più del grande magazzino di turno, quello dell’imbecillità sub-umana. Si susseguono i racconti di quanto accaduto, come sassi che deflagrano ogni lamento apparentemente convissuto nel dolore che accomuna, invece permane un imbizzarrimento che innalza a preghiera la presenza ingombrante dell’indifferenza, senza più maschera per recitare una preghiera di circostanza. Si muore di pistola, di fucile, di bombe, ma anche e soprattutto di deliri di onnipotenza, Si muore in barba ai sentimenti, alla giustizia, all’amore lacerato e negato. Si continua a morire solitudinarizzati.
Le immagini di questa indicibile vergogna ci colpiscono con la vicinanza di quelle drammatiche assenze, ridotte a bisbigli di incapacità ad ascoltare, osservare, assai meglio rimanere indietro, in tutta sicurezza, a fare smorfie di disgusto.
Ma ancora si inciampa, si sbatte il viso sul duro, perché sono proprio quelli dietro che passano sopra agli altri per giungere illesi alle proprie dimore, per non rimanere contaminati dall’ammasso cerebrale che non intende fare prigionieri. Giornali, televisioni, circoli elitari, inondano le nostre case, le nostre tavole imbandite di proposte, di possibilità, di occasioni e di necessità, ognuno è padrone delle sue carte truccate, ciascuno con la sua buona impostura, fin’anche la compassione. La ragione, se ancora c’è la ragione, sta a Dio oppure all’infamia di ultima generazione? Sta sempre e soltanto a Dio un sussulto di giustizia, di solidarietà costruttiva, di coraggio e sfida alla quotidiana follia.
Oppure è necessario mettere da parte le liturgie drammaturgiche sulle nefandezze dis-umane, affinché il primo strato di lingua, diventi urlo di ognuno e di ciascuno, una vera e propria ingerenza umanitaria, invasiva e pervasiva con il corpo e con il cuore, mai con il fuoco spinto alle spalle, come può fare il più vile dei traditori di ogni possibile umanità, anche della più derelitta e sconfitta.
Un rogo, fiamme alte, nel silenzio di chi è costretto all’angolo, d’improvviso le grida, la via di fuga, chi vive potrà ancora piangere, chi invece muore rimane dannato e oppresso dai chiodi delle parole, dei giudizi, delle condanne scagliate a priori.
Tre corpicini annientati, disintegrati, polverizzati più della cenere, bambini neppure incerottati, bambini trucidati. Qualcuno dice che sono soltanto chiacchiere quando si afferma senza se e senza ma, che donne, vecchi, e bambini non si toccano mai, perché a suo dire si tratta della dicitura di qualche sottocultura non meglio identificata. Come qualcuno ben più lungimirante di me, ha ben scandito alla nazione: un omicidio è sempre un omicidio, ma quando di mezzo ci sono bimbi innocenti, allora si tratta di qualcosa ben al di sotto di qualsiasi comprensione umana. Le azioni di morte come queste che dovrebbero incendiare le coscienze pressoché dormienti, stanno supine a un mercato sottobanco che vende più del grande magazzino di turno, quello dell’imbecillità sub-umana. Si susseguono i racconti di quanto accaduto, come sassi che deflagrano ogni lamento apparentemente convissuto nel dolore che accomuna, invece permane un imbizzarrimento che innalza a preghiera la presenza ingombrante dell’indifferenza, senza più maschera per recitare una preghiera di circostanza. Si muore di pistola, di fucile, di bombe, ma anche e soprattutto di deliri di onnipotenza, Si muore in barba ai sentimenti, alla giustizia, all’amore lacerato e negato. Si continua a morire solitudinarizzati.
Le immagini di questa indicibile vergogna ci colpiscono con la vicinanza di quelle drammatiche assenze, ridotte a bisbigli di incapacità ad ascoltare, osservare, assai meglio rimanere indietro, in tutta sicurezza, a fare smorfie di disgusto.
Ma ancora si inciampa, si sbatte il viso sul duro, perché sono proprio quelli dietro che passano sopra agli altri per giungere illesi alle proprie dimore, per non rimanere contaminati dall’ammasso cerebrale che non intende fare prigionieri. Giornali, televisioni, circoli elitari, inondano le nostre case, le nostre tavole imbandite di proposte, di possibilità, di occasioni e di necessità, ognuno è padrone delle sue carte truccate, ciascuno con la sua buona impostura, fin’anche la compassione. La ragione, se ancora c’è la ragione, sta a Dio oppure all’infamia di ultima generazione? Sta sempre e soltanto a Dio un sussulto di giustizia, di solidarietà costruttiva, di coraggio e sfida alla quotidiana follia.
Oppure è necessario mettere da parte le liturgie drammaturgiche sulle nefandezze dis-umane, affinché il primo strato di lingua, diventi urlo di ognuno e di ciascuno, una vera e propria ingerenza umanitaria, invasiva e pervasiva con il corpo e con il cuore, mai con il fuoco spinto alle spalle, come può fare il più vile dei traditori di ogni possibile umanità, anche della più derelitta e sconfitta.
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