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Il coraggio della paura

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Ogni tanto qualcuno dei ragazzi che incontro mi dice: Vince, quando il gioco si fa duro cosa fanno i duri? Rispondo sempre la stessa cosa: quelli che pensano di essere dei duri si sgretolano, si feriscono, muoiono. L’ho sempre detto con consapevolezza, per esperienza diretta, soprattutto ai più giovani, quelli che pensano di esorcizzare le proprie fragilità sfidando irresponsabilmente la morte, la morte passa sempre all’incasso. Ho sentito del ragazzino che ha scelto di sfidare la sorte, di frantumare la paura del vicolo cieco, rimanendo stritolato sulle rotaie da un treno in corsa. Ho ascoltato tante versioni, ma quando penso a quell’adolescente fatto a pezzi per gioco e per follia circondato dagli  sguardi affascinati e urlanti da bar sport, da stadio per  incitare il proprio beniamino di turno, mi viene in mente quel nobile russo dell’era zarista a nome Oblomov, costui era una brava persona, non fece mai male ad alcuno, tanto meno lo si sentì mai lamentarsi. Semplicemente, non fac

La dignità questa sconosciuta

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Stavo seguendo un servizio al TG: persone anziane, sequestrate, torturate, malmenate per entrare in possesso di qualche euro. Che dalla notte dei tempi esistono i banditi, i delinquenti, i malavitosi è cosa risaputa, talmente risaputa, che si conoscono bene le loro sottoculture, codici, le leggi non scritte che tanta filmografia ha ben raccontato. Nell’ascoltare le voci rotte di persone così ingiustamente sofferenti, su quanto sono stati costretti a subire, mi sono sentito spinto avanti, come se dal basso della schiena, fosse salito un fremito così feroce da farmi sobbalzare. Non bisogna essere educande per comprendere  quanta sofferenza c’è in quel "a ogni domanda mi dava un cazzotto, poi non ho capito più niente. Ero convinto di non uscirne vivo”. Anziani indifesi presi a bastonate, manco fosse un’azione da andarne fieri, neppure negli androni più bui della violenza sono accettate queste infamie, e sebbene la criminalità abbia perduto verginità e onore, ancora oggi chi fa del

La morte vince sempre

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Ai miei tempi, a dodici anni, giù di li, avere coraggio significava scavalcare in perfetta solitudine il muro del cimitero e restarci dentro per qualche tempo, oppure salire sul ponte della ferrovia e tuffarci dentro il lago. Ai miei tempi così differenti da questi tempi, non eravamo meglio noi, più semplicemente nel frattempo siamo cambiati tutti noi. Stavo leggendo di quel giovanissimo/i salito sul tetto del centro commerciale, e precipitato per una trentina di metri nella botola del condotto di areazione. Alle 22, 30 si cerca la montagna da scalare, ci si arrampica senza vedere, dentro passi affrettati dell’agire per l’incapacità a rimanere fermi.  Chissà, forse hanno ragione quei luminari che ci dicono e sottolineano la pericolosità dei network, il virtuale che annienta il reale, le frasi fatte e coniate a più riprese su come la paura sia soltanto un surrogato da seppellire nella sfrontatezza della sfida. Eppure anch’io ricordo bene l’adrenalina della fascinazione del vicolo

A volte è troppo tardi

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Nel nostro paese oramai è consuetudine l’accettazione di uno stato che veste il grembiule da oste, vendendo e anche svendendo alcol  sottobanco, come se fosse del tutto naturale vedere un minore sbomballato di beveroni dai mille colori. Uno stato che veste i panni del biscazziere, di colui che fa giocare d’azzardo ma con voce suadente avverte grandi e piccini di giocare con testa e cognizione, perché potrebbe diventare patologicamente-estremamente-pericoloso. Uno Stato costantemente in balia dei venti provenienti da sinistra ma pure da destra, i quali vorrebbero aggiungere al male fin qui concesso, fin’anche un pò di roba legalizzata, per farne uso e chiaramente abuso ricreativo. Insomma siamo un paese che non intende farsi mancare niente, ma proprio niente. I capitolati economici hanno il potere insindacabile di fare e disfare in tema di salute e sicurezza, sono le entrate che fanno propendere per una tesi o per l’altra, non certamente che la droga fa male, che la droga scientific

Educare non significa indottrinare

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In un paese che forse non è più paese ma un territorio di scorribande pseudo-intellettuali, di nostalgiche intenzioni, ecco spuntare dalle sterpaglie grammaticali la nuova ricreazione. Ce n'era davvero bisogno. In Rai il Saviano nazionale tiene una lezione agli studenti, una lezione, badate bene, non una testimonianza, una lezione, il che farebbe pensare a un incontro a tutto tondo, dove la tesi,  sta seduta educatamente a fianco della eventuale antitesi, per approdare a una sintesi vestita di reciprocità e comunione di intenti, non certamente al solito sermone a senso unico, restando poi in silenzio per copione e non per propria volontà.  Indipendentemente dalla tesi che l’interlocutore vuole portare avanti, sarebbe bene, di fronte agli adolescenti soprattutto, tenere un registro di equità ed equilibrio, non solamente con sfoggio di aggettivi ricercati, congiuntivi  corretti e superlativi assoluti tutti da verificare, nell’intento di sostenere uno slogan a favore delle canne sta

Il mare, l’inquietudine, l’indifferenza

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Stamattina un caro amico mi ha detto: ma hai visto Salvini cosa sta facendo, ma come è possibile esser cosi' disumani. In tutta sincerità non sono un celodurista tanto meno un pentamaravigliao, però siccome ne avevo le scatole piene prima di commenti bucolici e biasimi da sepolcri imbiancati, anche adesso ne ho le scatole arcipiene di scandalismi a buon mercato. So benissimo che l'accoglienza e la promozione umana passano da questa sottilissima cruna dell'ago, altrettanto bene sento tutta la responsabilità insita nel dovere di salvare quante più vite umane possibili,  legge o non legge del mare ci imponga di fare, soprattutto quando si tratta di donne e di bambini al macero. Detto questo però è necessario fare un po’ di pulizia alle parole spese male, alle punteggiature di comodo, alle filosofie di questo o quell’altro autore d’eccellenza. Qualche tempo addietro stavamo sulle alabarde perché l’inondazione dell’essere era a dir poco impressionante, poi ci stavamo ancora pe

Donne a perdere

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Siamo un popolo con fin troppa storia alle spalle, eppure se ci ribaltiamo all’indietro, rischiamo di piombare nel vuoto, come se avessimo soltanto un pizzico di tradizione a sostenerci.                            Ogni santissimo giorno un frastuono assordante a ricordarci l’ennesimo omicidio, suicidio, con corollario di bimbi al seguito.     Ogni maledettissimo giorno il rompicapo delle conte e dei numeri sottratti alla ragione ci parlano di follia, di malattia, di prepotenze e violenze ripetute fino alla nausea. Un giorno sì e l’altro pure siamo assaltati dalle notizie più devastanti in tema di violenze e di soprusi sulle donne, e cosa ancora più drammatica, a farne le spese quasi sempre ci sono anche i bambini, colpiti a tradimento più ancora delle loro madri. Ogni giorno siamo inondati dalle informazioni e da una comunicazione talmente urticante da sembrare insopportabile, nel tentativo di farci comprendere quanto urgente sia correre ai ripari. Eppure ai ripari nessuno corre, tan