Questa sofferenza indicibile e a volte irraccontabile - di Vincenzo Andraous
Perché mio figlio si droga?
In un oratorio di paese per confrontarci sui falsi miti, sulla trasgressione che spesso diventa devianza, un padre ripete con un filo di voce che “non è sufficiente un intero paese per educare un figlio”, una madre con gli occhi incavati, domanda ossessivamente “perché mio figlio, la droga, questa sofferenza indicibile, a volte irraccontabile, perché mio figlio dentro una cella, in un carcere, senza essere ancora un delinquente”.
Le droghe hanno sempre avuto facile accesso, ricordo bene ai miei tempi, la droga protestataria, contestataria, la droga nelle vene difficili da trovare, le mani sporche, le ginocchia piegate, nei vicoli, nei sottopassi, nelle strade, un movimento claudicante, palese caducità della carne e della mente in disfacimento.
Droga di oggi, dell’adrenalina, della botta sparata a bruciapelo, dai vestiti puliti, dai sogni concentrati e compressi nel fine settimana, anche questa è droga mai normale, non è usata per dire basta a un cliché, a un sistema violento, è droga che manipolando diverte, cambia colore, fa diventare grandi i nani dalla testa avvolta nella bambagia.
Nella vita di un ragazzo il gruppo ha una grande importanza, è dalla sua struttura, dalle sue regole, nelle sue dinamiche, dagli strumenti usati, che possono e debbono fuoriuscire personalità formate, mature, rispettose di se stessi e degli altri. Ma qualcosa interferisce, fa resistenza, una legge non scritta, un codice morale contrapposto e antitetico alla realtà sociale, fa sì che il plotone spinga e obblighi a conformarsi, a testuggine, dentro un quadrato poco propenso alla mediazione.
Cè il rischio che i più giovani si sentano prede facili di contumelie ben confezionate, basterebbe gettare lo sguardo e un po’ d’orecchio ai messaggi pubblicitari che inondano le nostre case, le messaggerie istantanee, nella rete-mondo-universo infinito dove tutto può esser condiviso, tutto, come si ostina a ripetere qualcuno, senza percepire il pericolo insito in una affermazione del genere.
Per vincere la paura che deriva dalle nostre inadeguatezze, si ricorre al tubo di birra, alla canna, alla pasticca, alla polvere, è droga che non regala emozione, né un sentimento, offende la dignità con immagini della realtà costantemente riflesse, mai vissute per intero.
La fascinazione del proibito, la roba e la violenza, mischiano le carte disposte sul tavolo, l’identità declinata sui documenti cambia forma, cresce la metamorfosi sociologica, l’uso che si fa della droga, compatibilmente con la necessità di non risultare precario anche sul banco di scuola, sul posto di lavoro, in famiglia, all’oratorio, quando non si regge il rimprovero né la punizione, ma si vuole esser ascoltati da qualcuno che non fa il maestro e si prende cura delle ferite ancora aperte.
Forse occorre uno sforzo serio di riflessione per indagare il bisogno di un ragazzo di fare il pieno di droga, a partire dal fatto che l’uso e abuso è incredibilmente vasto, non lo si mette più in pratica nei vicoli bui, ma sdraiati sui muretti, nei loft, nei servizi dei luoghi di lavoro e delle discoteche.
Perché mio figlio si droga? Forse perché non sappiamo fare tesoro del suo frastuono, non riusciamo a dare coraggio al bene che diciamo di volergli, allora occorre rispettare di più e meglio questo amore, anche quando nostro figlio non arretra, non avanza, non parla, non chiede aiuto, ma proprio dove non sono presenti i genitori, gli adulti, gli educatori, aumenta la loro vulnerabilità e fragilità.
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